Nelle
ore immediatamente successive ai fatti di piazza Fontana, quasi tutti avevano
pensato che, ad uccidere e ferire tutte quelle persone all’interno della Banca
Nazionale dell’Agricoltura, fosse stato lo scoppio della caldaia posta nel
seminterrato dell’istituto di credito oppure quello di una tubatura del gas.
Invece no: a fare quella strage di poveri innocenti, è stata una bomba.
Gli indizi, trovati sul luogo dell’esplosione dagli esperti della Scientifica, non lasciano dubbi: vicino a quello strano buco sul pavimento, ci sono pezzi di metallo fuso mescolati ai resti di una borsa di pelle. Non solo: all’interno della banca di piazza Fontana, oltre all’odore di carne bruciata, ce n’è un altro più dolce simile a quello di mandorla che è tipico dell’esplosivo al plastico. Dalle analisi sui reperti recuperati alla Banca Nazionale dell’Agricoltura e sulla devastazione causata a cose e persone, la Scientifica affermerà, senza alcuna incertezza, che ci sia voluto circa un chilogrammo e mezzo di gelignite chiuso e compresso dentro ad una cassetta portavalori contenuta nella borsa di pelle. In sintesi, un ordigno ad alto potenziale che aveva dovuto svolgere due compiti quasi in contemporanea: rompere la cassetta metallica in cui era contenuto e rilasciare l’energia dal basso verso l’alto affinché causasse il maggior numero di danni possibile.
Gli indizi, trovati sul luogo dell’esplosione dagli esperti della Scientifica, non lasciano dubbi: vicino a quello strano buco sul pavimento, ci sono pezzi di metallo fuso mescolati ai resti di una borsa di pelle. Non solo: all’interno della banca di piazza Fontana, oltre all’odore di carne bruciata, ce n’è un altro più dolce simile a quello di mandorla che è tipico dell’esplosivo al plastico. Dalle analisi sui reperti recuperati alla Banca Nazionale dell’Agricoltura e sulla devastazione causata a cose e persone, la Scientifica affermerà, senza alcuna incertezza, che ci sia voluto circa un chilogrammo e mezzo di gelignite chiuso e compresso dentro ad una cassetta portavalori contenuta nella borsa di pelle. In sintesi, un ordigno ad alto potenziale che aveva dovuto svolgere due compiti quasi in contemporanea: rompere la cassetta metallica in cui era contenuto e rilasciare l’energia dal basso verso l’alto affinché causasse il maggior numero di danni possibile.
Ma
l’attentato di piazza Fontana non sarà l’unico perché, sempre quel giorno, come
raccontato dal telegiornale della sera, una bomba inesplosa verrà ritrovata ancora
a Milano mentre, a Roma, di bombe ne esploderanno addirittura tre.
Poco
distante da piazza Fontana c’è un’altra piazza che si chiama piazza della
Scala. Lì, oltre al famoso teatro omonimo, c’è un’altra banca: la Banca
Commerciale Italiana. Circa dieci minuti prima che scoppi la bomba alla Banca
Nazionale dell’Agricoltura, un impiegato nota una borsa lasciata per terra vicino
all’ascensore di servizio di un corridoio del pianterreno. La borsa è molto
bella ed elegante: è una Mosbach-Gruber nera. L’uomo, pensando fosse stata dimenticata
da qualche cliente, si avvicina e la prende.
La
prima cosa che l’impiegato nota è il peso rilevante di quella borsa per cui,
immaginando che all’interno ci fossero dei preziosi o comunque oggetti di un
certo valore, decide di consegnarla ad un funzionario che la apre. Dentro,
oltre ad una cassetta metallica portavalori chiusa a chiave, c’è una busta di
plastica contenente una scatoletta, anch’essa di plastica, provvista di un
disco graduato da zero a sessanta. Il disco emette uno strano rumore ma. senza porsi
troppe domande, il funzionario mette la borsa in cassaforte nell’attesa di restituirla
al legittimo proprietario. Poi, però, in piazza Fontana esplode la bomba e il
direttore della Banca Commerciale Italiana, nel frattempo avvertito del
ritrovamento della borsa di pelle che in quel momento è chiusa in cassaforte, si
spaventa e chiama subito la Polizia.
Achille
Serra (ex prefetto): «Mentre eravamo in piazza Fontana, giunse, dalla centrale
operativa, una chiamata. Ci dissero di andare subito alla Banca Commerciale di
piazza della Scala perché avevano trovato una borsa incustodita e avevano
pensato si trattasse di una bomba. Io e dei colleghi ci recammo sul posto in
pochissimi minuti, dato che era vicino a dove ci trovavamo. Ricordo che il
direttore era agitatissimo e non smetteva di parlare. Io cercai di calmarlo come
potei dicendogli che non avrebbe più dovuto preoccuparsi di niente perché c’eravamo
noi. Quando arrivarono gli artificieri, presero in consegna la borsa e la
portarono nel cortile della banca per verificare se si trattasse effettivamente
di una bomba.»
Per
gli inquirenti si tratta di un colpo di fortuna inatteso: la borsa rinvenuta intatta
in piazza della Scala, rappresenta un tassello importantissimo per poter individuare
i mandanti e gli esecutori materiali di quell’orribile attentato. Aiuterebbe a
capire come fosse stato confezionato l’ordigno, dove fossero stati reperiti i
componenti e chi li avesse acquistati. Ma, come abbiamo visto con la caduta di
Alberto Muraro tre mesi prima della strage di piazza Fontana, anche quel 12
dicembre 1969 accade qualcosa.
Achille
Serra (ex prefetto): «La borsa ritrovata alla Banca Commerciale venne portata
nel cortile interno dell’edificio dagli artificieri. Io credevo che l’avessero
portata lì per consegnarla alla Scientifica che avrebbe dovuto analizzarla.
Invece, verso le 21:00 di quella stessa sera, fu ricoperta da diversi sacchi di
cemento e fu fatta esplodere. Ricordo molto nitidamente l’odore di aglio
bruciato che si sentì subito dopo la deflagrazione… Era l’odore tipico del
tritolo.»
Ugo
Paolillo (ex magistrato): «Andai anch’io, coi Carabinieri, alla sede della
Banca Commerciale Italiana di piazza della Scala. Mi fecero entrare dal
seminterrato e, mentre percorrevo il lungo corridoio che avrebbe dovuto
portarmi dove avevano depositato la borsa, sentii una deflagrazione
notevolissima. Ho pensato che la bomba fosse scoppiata in mano agli artificieri
mentre la stavano mettendo in sicurezza. Mai avrei immaginato che la bomba
fosse stata fatta saltare in aria apposta!»
In
una storia normale, la Mosbach-Gruber nera sarebbe subito passata nelle mani
della Scientifica affinché tutti i possibili indizi fossero catalogati e
decifrati. Ma qui no: l’ingegner Teonesto Cerri – perito balistico presso il
Tribunale di Milano che si sta occupando dell’analisi degli ordigni ritrovati
nel capoluogo lombardo – teme che la bomba contenuta nella valigetta recuperata
intatta alla Banca Commerciale possa esplodere, ripetendo il disastro avvenuto
in piazza Fontana. Consiglia, quindi, di far saltare in aria la bomba e di
repertane i resti. Il consiglio dell’ingegner Cerri viene subito accolto e qualcuno
ordina agli artificieri di far “brillare” la valigetta ritrovata in piazza
della Scala, facendo sì che tutte le potenziali prove vengano distrutte per
sempre. Negli anni avvenire, diversi periti esperti di esplosivo, fra cui il
maresciallo artificiere dell’Esercito Italiano Guido Bizzarri, affermeranno
senza incertezza alcuna che, per come era stata confezionata quella bomba,
sarebbe stato meno pericoloso disinnescarla piuttosto che farla esplodere.
Ugo
Paolillo (ex magistrato): «La bomba ritrovata in piazza della Scala non doveva
assolutamente essere fatta esplodere perché, se la si fosse analizzata, noi
inquirenti avremmo trovato delle tracce utilissime per l’indagine ed avremmo,
così, risparmiato un sacco di tempo prezioso!»
Ugo
Paolillo nasce a Roma nel 1940 e, dopo la scuola superiore, si iscrive
all’università laureandosi in giurisprudenza. Superato l’esame di stato per
entrare in magistratura, prende servizio a Bologna per poi approdare, qualche
anno dopo, alla Procura di Milano. Quando esplode la bomba in piazza Fontana,
il sostituto procuratore Paolillo ha da poco compiuto 29 anni e, quel giorno, è
proprio il magistrato di turno. Giudice onesto, molto attento agli abusi
edilizi e lontano da ogni coinvolgimento politico, chiuderà la sua carriera di
magistrato prima alla Procura di Rieti (sia in veste di pretore che di
sostituto procuratore) e poi all’Aquila come consigliere di Corte d’Appello.
Ora,
però, abbandoniamo Milano e spostiamoci verso sud di circa seicento chilometri.
Andiamo a Roma, sempre quel giorno e quasi alla stessa ora: sono le 16:55 e la prima
bomba esplode alla sede della Banca Nazionale del Lavoro di via S. Basilio.
L’esplosione
avviene in un corridoio del seminterrato della banca dove ci sono il centralino
ed alcuni uffici: a quell’ora, pur essendo chiuso, nell’istituto di credito ci
sono una ventina di impiegati che stanno ancora lavorando. I vetri vanno in
frantumi ed i detriti arrivano fino al lato opposto della strada.
Fortunatamente non muore nessuno ma i feriti saranno quattordici. La seconda bomba
scoppia alle 17:22 all’Altare della Patria, sotto il pennone della bandiera nei
pressi della tomba del Milite Ignoto: il pennone si spezza e crolla una parte
del basamento che lo sostiene. L’energia della deflagrazione è tale che i
frammenti del basamento vengono scagliati tutt’attorno e finiscono per far
crollare il cornicione di un palazzo vicino. La terza bomba esplode alle 17:30,
sempre all’Altare della Patria ma sul lato opposto. Era stata lasciata sugli
scalini che portano al Museo Centrale del Risorgimento e, quando scoppia, i
vetri del museo vanno in pezzi mentre uno dei battenti della porta viene
scagliato a diversi metri di distanza. Crolla anche parte del soffitto della
basilica di S. Maria in Ara Coeli che si trova nei pressi del museo. Restano
feriti in quattro: un carabiniere, accorso al Vittoriano dopo la prima
esplosione, ed altre tre persone che, a bordo di una FIAT 600, si trovavano a
transitare nei pressi del Vittoriano – l’altro nome col quale è noto l’Altare
della Patria – nel momento esatto dell’esplosione.
Cinque
bombe tutte nello stesso giorno e tutte nelle stesse ore. E, tra di esse, c’è
quella di piazza Fontana che ha causato una strage. In Italia, una cosa del
genere non si era mai vista né tantomeno immaginata.
Dopo
lo scoppio della bomba in piazza Fontana ed il rinvenimento di quella inesplosa
in piazza della Scala, gli inquirenti credono che la strage sia stata frutto di
un atto dimostrativo finito male. Entrambe le bombe avrebbero dovuto solamente
essere ritrovate o, alla peggio, dovevano scoppiare alcune ore dopo che le
banche avevano chiuso. Quando però anche a Roma esplodono le bombe, appare
chiaro che ci si trova dinanzi ad attentati studiati a tavolino con l’intento preciso
di uccidere e ferire. Si tratta di un fatto nuovo che avrebbe potuto capitare
ovunque e a chiunque: è un atto terroristico in piena regola.
Giorgio
Boatti (giornalista e scrittore): «Io non credo assolutamente all’ipotesi
dell’atto dimostrativo e che le bombe di Milano e di Roma fossero un errore. Si
è detto che non dovevano esplodere o che dovevano scoppiare a diverse ore dalla
chiusura delle banche. C’è un crescendo che lega gli attentati di Milano e di
Roma: gli stessi ordigni confezionati allo stesso modo ed esplosi praticamente
a pochi minuti di distanza gli uni dagli altri. Quei morti e quei feriti sono
stati lucidamente voluti: la persona che ha messo la bomba sotto al tavolo
della Banca Nazionale dell’Agricoltura lo ha fatto intenzionalmente. Ha visto i
visi di quella povera gente, ha visto quelle persone parlare tra loro,
scherzare, compilare i moduli per le transazioni. E, dopo esserseli guardati
per bene, ha lasciato la valigetta sotto il tavolo ben sapendo che, da lì a
pochissimo, sarebbero tutti morti.»
Ma
perché quelle bombe? Perché uccidere tutta quella gente innocente che non aveva
nessuna colpa?
Per
capire il contesto in cui è maturato l’attentato di piazza Fontana, dobbiamo
parlare del contesto italiano e mondiale di quel periodo.
A
partire dal 1968, in tutti i Paesi occidentali si creano movimenti spontanei ed
eterogenei che si dichiarano apertamente avversi al sistema sociale e politico
costituito, contestandone ideologie e politiche economico-sociali: negli Stati Uniti,
accanto alle manifestazioni studentesche contro la guerra del Vietnam in cui
l’America è ormai impegnata a tempo pieno dal 1955, ci sono le lotte della
minoranza nera – capeggiata da Martin Luther King, Angela Davis e Malcom X – che
mira ad ottenere gli stessi diritti dei bianchi soprattutto negli stati del sud
dove la segregazione razziale è ancora una cruda realtà.
Anche
l’Europa vive uno stato di cambiamento tumultuoso e repentino: in Francia,
Inghilterra e Germania, dove pure nascono movimenti contro la guerra del
Vietnam, le tensioni sociali vedono i conservatori che si contrappongono ad orde
di studenti ed operai contrarie al colonialismo, alle riforme “tecnocratiche”
delle università, ed al conformismo “borghese” che è visto come la panacea di
tutti i mali.
Diversa
è la situazione dei Paesi europei aderenti al Patto di Varsavia: con l’avvento
di Brežnev quale capo del Soviet supremo, qualsiasi spinta alla
democratizzazione dell’Unione Sovietica viene meno. L’ingerenza dello stato
nella vita dei cittadini è pressoché totale e ne controlla ogni aspetto.
Tuttavia, nonostante la forte oppressione della Russia, in Cecoslovacchia la voglia
di avere un sistema statale che fosse meno “accentratore” e dove la popolazione
potesse partecipare maggiormente alla vita politica della nazione, fa montare
la protesta degli studenti che passerà alla storia col nome di “Primavera di
Praga”. Per tutta risposta, l’Unione Sovietica decide di porre un freno alle
proteste occupando militarmente la Cecoslovacchia.
Il
1969 diventa così la naturale prosecuzione di ciò che era cominciato l’anno
prima: la spinta liberista e rivoluzionaria diventa sempre più viva sfociando
in fatti che rimarranno indelebili nella storia: è il 16 gennaio quando, in
piazza San Venceslao a Praga, lo studente ventunenne Jan Palach, per protestare
contro l’occupazione sovietica del suo Paese, si dà fuoco dopo essersi cosparso
il corpo con della benzina. Morirà all’ospedale dopo tre giorni di agonia. Subito
emulato da altri studenti, il gesto di Palach si rivelò determinante nello
spingere la Russia ad abbandonare la Cecoslovacchia. Ma Il fatto più importante
di quell’anno resta, senza alcun dubbio, ciò che accade alle 4:15 di domenica
20 luglio, quando l’Apollo 11 atterra sulla Luna e Neil Armstrong, pronunciando
la frase «è un piccolo passo per l’uomo ma un grande passo per l’umanità»,
muoverà i primi passi dell’uomo sul suolo lunare.
A
livello nazionale, la ventata di “aria nuova” che ha scosso il resto del mondo
non si fa attendere. Nel frattempo, grazie al boom economico, nelle case degli
italiani hanno già fatto la loro comparsa i televisori, i frigoriferi, i primi
elettrodomestici ed il telefono. Quest’ultimo, spesso e volentieri, nei
condomini veniva impiegato in modalità “duplex” per risparmiare un po’ sulla
bolletta telefonica: due numeri telefonici differenti erano collegati alla
stessa linea. Sollevando la cornetta per telefonare, un relè abilitava un
apparecchio ed escludeva automaticamente l’altro. E, se da una parte i costi di
gestione diminuivano, dall’altra aumentavano le liti tra i condòmini per via
delle lunghissime telefonate degli uni a scapito degli altri.
Lo
stipendio medio si aggirava attorno a 120.000 lire, un litro di benzina valeva
145 lire e una tazzina di caffè costava 50 lire. Nelle fabbriche si produceva a
più non posso tanto che, all’epoca, un operaio specializzato aveva un salario
più alto di quello di un poliziotto. In estate, file di automobili – diventate
più o meno alla portata di tutti – si riversavano sulle strade in direzione
delle spiagge e, per i giovani, possedere la Lambretta o la Vespa restava un
sogno ad occhi aperti.
L’influsso
straniero irrompe sempre di più nella vita degli italiani: al cinema arrivano
pellicole come Easy Rider – interpretato da Peter Fonda e Dennis Hopper
– che celebrano il mondo “hippie” col suo desiderio di libertà a
trecentosessanta gradi. La musica dei Beatles e dei Rolling Stones inizia a
diventare sempre più popolare insieme a quella proveniente dallo storico
concerto di Woostock che si tiene, proprio nel 1969, dal 15 al 18 agosto. Ma
anche l’arte nostrana non va affatto male: attori del calibro di Alberto Sordi,
Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Raimondo Vianello, Aldo Fabrizi, insieme al duo
comico composto da Franco e Ciccio, riempiono i cinematografi come mai prima. A
livello musicale c’è di tutto un po’: si spazia dai melodici puri come Claudio
Villa, Domenico Modugno, Orietta Berti, Gigliola Cinquetti e Nilla Pizzi, agli
“urlatori” come Adriano Celentano, Mina, Gianni Morandi, Little Tony e Caterina
Caselli. Ma spopolano pure i gruppi come i Pooh, i Dik Dik, i Collage, gli
Alunni del Sole.
Tra
tutti i brani pubblicati in quell’anno, ci sarà una canzone – Je t’aime moi
non plus interpretata da Jane Birkin e Serge Gainsbourg – che, a causa
della sua sensualità giudicata estrema, verrà addirittura censurata dalla RAI,
scomunicata dal Vaticano e, infine, ritirata dal mercato su ordine della
Procura di Milano. Al Festival di Sanremo, dove vincerà la coppia Iva Zanicchi
e Bobby Solo con Zingara, si metterà in luce l’esordiente Lucio Battisti
che, in coppia con Wilson Pickett, si piazzerà al nono posto con il brano Un’avventura.
Ma
il 1969 è anche un anno di forti tensioni sociali che sfoceranno in quello che
verrà battezzato “l’autunno caldo”: nelle fabbriche gli operai si organizzano
in sindacati per ottenere migliori condizioni di lavoro e salari più alti. Gli
scioperi – spesso organizzati all’ultimo momento senza l’autorizzazione delle
questure – diventano via via sempre più frequenti, finendo per bloccare interi
stabilimenti quando, magari, a scioperare era solo un gruppo di lavoratori di
un determinato reparto. Nelle piazze cresce il numero di manifestazioni dove,
oltre agli operai, aderiscono gli studenti. La maggior parte delle volte
bastava un niente per trasformare le manifestazioni in bolge violente in cui i
manifestanti si scontravano tra di loro oppure contro i reparti celere di
Polizia e Carabinieri. Nelle fabbriche e nelle università erano in moltissimi a
militare in organizzazioni extraparlamentari sia di destra che di sinistra: nomi
come Lotta Continua, Potere Operaio, Avanguardia Nazionale ed Ordine Nuovo, accompagneranno
le cronache dell’Italia di quegli anni perché, da esse, si staccarono frange
ancora più estremiste che sfoceranno nella lotta armata come i NAR (Nuclei
Armati Rivoluzionari) e le Brigate Rosse.
Per
l’Italia si tratta, quindi, di un anno cruciale che la sta traghettando verso
una prima vera forma di democrazia che sta letteralmente sbocciando: nuove
idee, nuove visioni e nuove speranze mettono in contatto tra di loro – quasi
amalgamandoli – ceti sociali che, fino ad allora, erano sempre stati separati.
Ed è proprio in questo clima di fortissimo cambiamento, che tutto il Paese
verrà scosso in modo indelebile dalla strage di piazza Fontana.
La prima pagina del Corriere della Sera del 7 luglio 1969 (fotografia reperita su Internet)
L'occupazione sovietica della Cecoslovacchia durante la "Primavera di Praga" (fotografia reperita su Internet)
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per aver lasciato un commento!