30 gennaio 2021

LA STRAGE DI PIAZZA FONTANA (puntata n° 4)

Nelle ore immediatamente successive ai fatti di piazza Fontana, quasi tutti avevano pensato che, ad uccidere e ferire tutte quelle persone all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, fosse stato lo scoppio della caldaia posta nel seminterrato dell’istituto di credito oppure quello di una tubatura del gas. Invece no: a fare quella strage di poveri innocenti, è stata una bomba.
Gli indizi trovati sul luogo dell’esplosione dagli esperti della Scientifica, non lasciano dubbi: vicino a quello strano buco sul pavimento, ci sono pezzi di metallo fuso mescolati ai resti di una borsa di pelle. Non solo: all’interno della banca di piazza Fontana, oltre all’odore di carne bruciata, ce n’è un altro più dolce simile a quello di mandorla che è tipico dell’esplosivo al plastico. Dalle analisi sui reperti recuperati alla Banca Nazionale dell’Agricoltura e sulla devastazione causata a cose e persone, la Scientifica affermerà, senza alcuna incertezza, che ci sia voluto circa un chilogrammo e mezzo di gelignite chiuso e compresso dentro ad una cassetta portavalori contenuta nella borsa di pelle. In sintesi, un ordigno ad alto potenziale che aveva dovuto svolgere due compiti quasi in contemporanea: rompere la cassetta metallica in cui era contenuto e rilasciare l’energia dal basso verso l’alto affinché causasse il maggior numero di danni possibile.
Ma l’attentato di piazza Fontana non sarà l’unico perché, sempre quel giorno, come raccontato dal telegiornale della sera, una bomba inesplosa verrà ritrovata ancora a Milano mentre, a Roma, di bombe ne esploderanno addirittura tre.
Poco distante da piazza Fontana c’è un’altra piazza che si chiama piazza della Scala. Lì, oltre al famoso Teatro alla Scala, c’è un’altra banca: la Banca Commerciale Italiana. Circa dieci minuti prima che scoppi la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, un impiegato nota una borsa lasciata per terra vicino all’ascensore di servizio di un corridoio del pianterreno. La borsa è molto bella ed elegante: è una Mosbach-Gruber nera. L’uomo, pensando fosse stata dimenticata da qualche cliente, si avvicina e la prende.
La prima cosa che colpisce l’impiegato è il peso rilevante di quella borsa per cui, immaginando che all’interno ci fossero dei preziosi o comunque oggetti di un certo valore, decide di consegnarla ad un funzionario che la apre. Dentro, oltre ad una cassetta metallica portavalori chiusa a chiave, c’è una busta di plastica contenente una scatoletta, anch’essa di plastica, provvista di un disco graduato da zero a sessanta. Il disco emette uno strano rumore ma. senza porsi troppe domande, il funzionario mette la borsa in cassaforte nell’attesa di restituirla al legittimo proprietario. Poi, però, in piazza Fontana esplode la bomba e il direttore della Banca Commerciale Italiana, nel frattempo avvertito del ritrovamento della borsa di pelle che in quel momento è chiusa in cassaforte, si spaventa e chiama subito la Polizia.
Achille Serra (ex prefetto): «Mentre eravamo in piazza Fontana, giunse, dalla centrale operativa, una chiamata. Ci dissero di andare subito alla Banca Commerciale di piazza della Scala perché avevano trovato una borsa incustodita e avevano pensato si trattasse di una bomba. Io e dei colleghi ci recammo sul posto in pochissimi minuti, dato che distava pochi passi da dove ci trovavamo. Ricordo che il direttore era agitatissimo e non smetteva di parlare. Io cercai di calmarlo come potei dicendogli che non avrebbe più dovuto preoccuparsi di niente perché ci saremmo occupati noi di tutto. Quando arrivarono gli artificieri, presero in consegna la borsa e la portarono nel cortile della banca per verificare se si trattasse effettivamente di una bomba.»
Per gli inquirenti si tratta di un colpo di fortuna inatteso: la borsa rinvenuta intatta in piazza della Scala, rappresenta un tassello importantissimo per individuare i mandanti e gli esecutori materiali di quell’orribile attentato. Aiuterebbe a capire come sia stato confezionato l’ordigno, dove siano stati reperiti i componenti e chi li abbia acquistati. Ma, come abbiamo visto con la caduta di Alberto Muraro tre mesi prima della strage di piazza Fontana, anche quel 12 dicembre 1969 accade qualcosa.
Achille Serra (ex prefetto): «La borsa ritrovata alla Banca Commerciale venne portata nel cortile interno dell’edificio dagli artificieri. Io credevo che l’avessero portata lì per cederla alla Scientifica che avrebbe dovuto analizzarla. Invece, verso le 21:00 di quella stessa sera, fu ricoperta da diversi sacchi di cemento e fu fatta esplodere. Ricordo molto nitidamente l’odore di aglio bruciato che si sentì subito dopo la deflagrazione… Era l’odore tipico del tritolo.»
Ugo Paolillo (ex magistrato): «Andai anch’io, coi Carabinieri, alla sede della Banca Commerciale Italiana di piazza della Scala. Mi fecero entrare dal seminterrato e, mentre percorrevo il lungo corridoio che avrebbe dovuto portarmi dove avevano depositato la borsa, sentii una deflagrazione notevolissima. Ho pensato che la bomba fosse scoppiata in mano agli artificieri mentre la stavano mettendo in sicurezza. Mai avrei immaginato che la bomba fosse stata fatta saltare in aria apposta!»
In una storia normale, la Mosbach-Gruber nera sarebbe subito passata nelle mani della Scientifica affinché tutti i possibili indizi fossero catalogati e decifrati. Ma qui no: l’ingegner Teonesto Cerri – perito balistico presso il Tribunale di Milano che si sta occupando dell’analisi degli ordigni ritrovati nel capoluogo lombardo – teme che la bomba contenuta nella valigetta recuperata intatta alla Banca Commerciale possa esplodere, ripetendo il disastro avvenuto in piazza Fontana. Consiglia, quindi, di far saltare in aria la bomba e di repertane i resti. Il consiglio dell’ingegner Cerri viene subito accolto e qualcuno ordina agli artificieri di far “brillare” la valigetta ritrovata in piazza della Scala, facendo sì che tutte le potenziali prove vengano distrutte per sempre. Negli anni avvenire, diversi periti esperti di esplosivo, fra cui il maresciallo artificiere dell’Esercito Italiano Guido Bizzarri, affermeranno senza incertezza alcuna, che, per come era stata confezionata quella bomba, sarebbe stato meno pericoloso disinnescarla che farla esplodere.
Ugo Paolillo (ex magistrato): «La bomba ritrovata in piazza della Scala non doveva assolutamente essere fatta esplodere perché, se la si fosse analizzata, noi inquirenti avremmo trovato delle tracce utilissime per l’indagine ed avremmo, così, risparmiato un sacco di tempo prezioso.»
Ugo Paolillo nasce a Roma nel 1940 e, dopo la scuola superiore, si iscrive all’università laureandosi in giurisprudenza. Superato l’esame di stato per entrare in magistratura, prende servizio a Bologna per poi approdare, qualche anno dopo, alla Procura di Milano. Quando esplode la bomba in piazza Fontana, il sostituto procuratore Paolillo ha da poco compiuto 29 anni e, quel giorno, è proprio il magistrato di turno. Giudice onesto, molto attento agli abusi edilizi e lontano da ogni coinvolgimento politico, chiuderà la sua carriera di magistrato prima alla Procura di Rieti (sia in veste di pretore che di sostituto procuratore) e poi all’Aquila come consigliere di Corte d’Appello.
Ora, però, abbandoniamo Milano e spostiamoci verso sud di circa seicento chilometri. Andiamo a Roma, sempre quel giorno e quasi alla stessa ora: sono le 16:55 e la prima bomba esplode alla sede della Banca Nazionale del Lavoro di via S. Basilio.
L’esplosione avviene in un corridoio del seminterrato della banca dove ci sono il centralino ed alcuni uffici: a quell’ora, pur essendo chiuso, nell’istituto di credito ci sono una ventina di impiegati che stanno ancora lavorando. I vetri vanno in frantumi ed i detriti arrivano fino al lato opposto della strada. Fortunatamente non muore nessuno ma i feriti saranno quattordici. La seconda bomba scoppia alle 17:22 all’Altare della Patria, sotto il pennone della bandiera nei pressi della tomba del Milite Ignoto: il pennone si spezza e crolla una parte del basamento che lo sostiene. L’energia della deflagrazione è tale che i frammenti del basamento vengono scagliati tutt’attorno e finiscono per far crollare il cornicione di un palazzo vicino. La terza bomba esplode alle 17:30, sempre all’Altare della Patria ma sul lato opposto. Era stata lasciata sugli scalini che portano al Museo Centrale del Risorgimento e, quando scoppia, i vetri del museo vanno in pezzi mentre uno dei battenti della porta viene scagliato a diversi metri di distanza. Crolla anche parte del soffitto della basilica di S. Maria in Ara Coeli che si trova nei pressi del museo. Restano feriti in quattro: un carabiniere, accorso al Vittoriano dopo la prima esplosione, ed altre tre persone che, a bordo di una FIAT 600, si trovavano a transitare nei pressi del Vittoriano – l’altro nome con cui è noto l’Altare della Patria – nel momento esatto dell’esplosione.
Cinque bombe tutte nello stesso giorno e tutte nelle stesse ore. E, tra di esse, c’è quella di piazza Fontana che ha causato una strage. In Italia, una cosa del genere non si era mai vista né tantomeno immaginata.
Dopo lo scoppio della bomba in piazza Fontana ed il rinvenimento di quella inesplosa in piazza della Scala, gli inquirenti credono che si tratti di un atto dimostrativo finito male. Entrambe le bombe avrebbero dovuto solamente essere ritrovate o, alla peggio, dovevano scoppiare alcune ore dopo che le banche avevano chiuso. Quando però esplodono le bombe a Roma, appare chiaro che ci si trova dinanzi ad attentati studiati a tavolino con l’intento preciso di uccidere e ferire. Si tratta di un fatto nuovo che avrebbe potuto capitare ovunque e a chiunque: è un atto terroristico in piena regola.
Giorgio Boatti (giornalista e scrittore): «Io non credo assolutamente all’ipotesi dell’atto dimostrativo e che le bombe di Milano e di Roma fossero un errore. Si è detto che non dovevano esplodere o che dovevano scoppiare a diverse ore dalla chiusura delle banche. C’è un crescendo che lega gli attentati di Milano e di Roma: gli stessi ordigni confezionati allo stesso modo ed esplosi praticamente a pochi minuti di distanza gli uni dagli altri. Quei morti e quei feriti sono stati lucidamente voluti: la persona che ha messo la bomba sotto al tavolo della Banca Nazionale dell’Agricoltura lo ha fatto intenzionalmente. Ha visto i visi di quella povera gente, ha visto quelle persone parlare tra loro, scherzare, compilare i moduli per le transazioni. E, dopo esserseli guardati per bene, ha lasciato la valigetta sotto il tavolo ben sapendo che, da lì a pochissimo, sarebbero tutti morti.»
Ma perché quelle bombe? Perché uccidere tutta quella gente innocente che non aveva nessuna colpa?
Per capire il contesto in cui è maturato l’attentato di piazza Fontana, dobbiamo parlare di cosa accadde in Italia e nel mondo in quel periodo.
A partire dal 1968, in tutti i Paesi occidentali si creano movimenti spontanei ed eterogenei che si dichiarano apertamente avversi al sistema sociale e politico costituito, contestandone ideologie e politiche economico-sociali: negli Stati Uniti, accanto alle manifestazioni studentesche contro la guerra del Vietnam in cui l’America è ormai impegnata – senza sosta – dal 1955, ci sono le lotte della minoranza nera – capeggiata da Martin Luther King, Angela Davis e Malcom X – che mira ad ottenere gli stessi diritti dei bianchi soprattutto negli stati del sud dove la segregazione razziale è ancora una cruda realtà.
Anche l’Europa vive uno stato di cambiamento tumultuoso e repentino: in Francia, Inghilterra e Germania, dove pure nascono movimenti contro la guerra del Vietnam, le tensioni sociali vedono contrapposti i conservatori ad orde di studenti ed operai che si oppongono al colonialismo, alle riforme “tecnocratiche” delle università e che prendono le distanze dal conformismo “borghese” visto come la panacea di tutti i mali.
Diversa è la situazione dei Paesi europei aderenti al Patto di Varsavia: con l’avvento di Brežnev quale capo del Soviet supremo, qualsiasi spinta alla democratizzazione dell’Unione Sovietica viene meno. L’ingerenza dello stato nella vita dei cittadini è pressoché totale e ne controlla ogni aspetto. Tuttavia, nonostante la forte oppressione della Russia, in Cecoslovacchia la voglia di avere sistema statale che fosse meno centrale e dove la popolazione potesse partecipare maggiormente alla vita politica della nazione, fa montare la protesta degli studenti che passerà alla storia col nome di “Primavera di Praga”. Per tutta risposta, l’Unione Sovietica decide di porre un freno alle proteste occupando militarmente la Cecoslovacchia.
Il 1969 diventa così la naturale prosecuzione di ciò che era cominciato l’anno prima: la spinta liberista e rivoluzionaria diventa sempre più viva sfociando in fatti che rimarranno indelebili nella storia: è il 16 gennaio quando, in piazza San Venceslao a Praga, lo studente ventunenne Jan Palach, per protestare contro l’occupazione sovietica del suo Paese, si dà fuoco dopo essersi cosparso il corpo con della benzina. Morirà all’ospedale dopo tre giorni di agonia. Subito emulato da altri studenti, il gesto di Palach fu determinante per spingere la Russia ad abbandonare la Cecoslovacchia. Ma Il fatto più importante di quell’anno resta, senza alcun dubbio, ciò che accade alle 4:15 di domenica 20 luglio, quando l’Apollo 11 atterra sulla Luna e Neil Armstrong, pronunciando la frase «è un piccolo passo per l’uomo ma un grande passo per l’umanità», muoverà i primi passi dell’uomo sul suolo lunare.
A livello nazionale, la ventata di “aria nuova” che ha scosso il resto del mondo non si fa attendere. Nel frattempo, grazie al boom economico, nelle case degli italiani hanno già fatto la loro comparsa i televisori, i frigoriferi, i primi elettrodomestici ed il telefono. Quest’ultimo, spesso e volentieri, nei condomini veniva impiegato in modalità “duplex” per risparmiare un po’ sulla bolletta telefonica: due numeri telefonici differenti erano collegati alla stessa linea. Sollevando la cornetta per telefonare, un relè abilitava un apparecchio ed escludeva automaticamente l’altro. E, se da una parte i costi di gestione diminuivano, dall’altra aumentavano le liti tra i condòmini per via delle lunghissime telefonate degli uni a scapito degli altri.
Lo stipendio medio si aggirava attorno a 120.000 lire, un litro di benzina valeva 145 lire e una tazzina di caffè costava 50 lire. Nelle fabbriche si produceva a più non posso tanto che, all’epoca, un operaio specializzato aveva un salario più alto di quello di un poliziotto. In estate, file di automobili – diventate più o meno alla portata di tutti – si riversavano sulle strade in direzione delle spiagge e, per i giovani, possedere la Lambretta o la Vespa era un sogno ad occhi aperti.
L’influsso straniero irrompe sempre di più nella vita degli italiani: al cinema arrivano pellicole come Easy Rider – interpretato da Peter Fonda e Dennis Hopper – che celebrano il mondo “hippie” col suo desiderio di libertà a trecentosessanta gradi. La musica dei Beatles e dei Rolling Stones inizia a diventare sempre più popolare insieme a quella proveniente dallo storico concerto di Woostock che si tiene, proprio nel 1969, dal 15 al 18 agosto. Ma anche l’arte nostrana non va affatto male: attori del calibro di Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Raimondo Vianello, Aldo Fabrizi, insieme al duo comico composto da Franco e Ciccio, riempiono i cinematografi come mai prima. A livello musicale c’è di tutto un po’: si spazia dai melodici puri come Claudio Villa, Domenico Modugno, Orietta Berti, Gigliola Cinquetti e Nilla Pizzi, agli “urlatori” come Adriano Celentano, Mina, Gianni Morandi, Little Tony e Caterina Caselli, ai gruppi come i Pooh, i Dik Dik, i Collage, gli Alunni del Sole.
Tra tutti i brani pubblicati in quell’anno, ci sarà una canzone – Je t’aime moi non plus interpretata da Jane Birkin e Serge Gainsbourg – che, a causa della sua sensualità giudicata estrema, verrà addirittura censurata dalla RAI, scomunicata dal Vaticano e, infine, ritirata dal mercato su ordine della Procura di Milano. Al Festival di Sanremo, dove vincerà la coppia Iva Zanicchi e Bobby Solo con Zingara, si metterà in luce l’esordiente Lucio Battisti che, in coppia con Wilson Pickett, si piazzerà al nono posto con il brano Un’avventura.
Ma il 1969 è anche un anno di forti tensioni sociali che sfoceranno in quello che verrà battezzato “l’autunno caldo”: nelle fabbriche gli operai si organizzano in sindacati per ottenere migliori condizioni di lavoro e salari più alti. Gli scioperi – spesso organizzati all’ultimo momento senza l’autorizzazione delle questure – diventano via via sempre più frequenti, finendo per bloccare interi stabilimenti quando, magari, a scioperare era solo un gruppo di lavoratori di un determinato reparto. Nelle piazze cresce il numero di manifestazioni dove, oltre agli operai, aderiscono gli studenti. La maggior parte delle volte bastava un niente per trasformare le manifestazioni in bolge violente in cui i manifestanti si scontravano tra di loro oppure contro i reparti celere di Polizia e Carabinieri. Nelle fabbriche e nelle università erano in moltissimi a militare in organizzazioni extraparlamentari sia di destra che di sinistra: nomi come Lotta Continua, Potere Operaio, Avanguardia Nazionale ed Ordine Nuovo, accompagneranno le cronache dell’Italia di quegli anni perché, da esse, si staccarono frange ancora più estremiste che sfoceranno nella lotta armata come i NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) e le Brigate Rosse.
Per l’Italia si tratta, quindi, di un anno cruciale che la sta traghettando verso una prima vera forma di democrazia che sta letteralmente sbocciando: nuove idee, nuove visioni e nuove speranze mettono in contatto tra di loro – quasi amalgamandoli – ceti sociali che, fino ad allora, erano sempre stati separati. Ed è proprio in questo clima di fortissimo cambiamento, che il tutto il Paese verrà scosso in modo indelebile dalla strage di piazza Fontana.


La prima pagina del Corriere della Sera del 7 luglio 1969 (fotografia reperita su Internet)


L'occupazione sovietica della Cecoslovacchia durante la "Primavera di Praga" (fotografia reperita su Internet) 


Manifestazione operaia a Roma durante "l'autunno caldo" del 1969 (fotografia reperita su Internet)


Manifestazione operaia a Milano durante "l'autunno caldo" del 1969 (fotografia reperita su Internet)


Scorcio sulla folla di giovani presenti al concerto di Woodstock del 1969 (fotografia reperita su Internet)

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